Via cola di rienzo. Sono le sei e quarantacinque di un
pomeriggio, sabato.
Alla faccia della crisi c’è un carnaio di gente riversa a
fare quello che io chiamo “window shopping”, alias lo sciopping dei poracci
che, ormai martellati da un infausto debito pubblico, utilizzano il denaro più
per pagare le tasse che per comprare latte e pane.
Trovo un parcheggio per il motorino dove ci sono le strisce
bianche, fatte apposta per i “motocicli”.
Una botta di culo, penso. E fiera parcheggio, sapendo di
essere una brava cittadina.
Entro da Coin. Devo prendere le cialde del maledetto
Nespresso. Dopo che ti regalano la macchinetta sei condannato a file
estenuanti, e quando tocca a te vorresti una sedia, al bancone.
Un tipo palestrato che sembra swarzenegger mi chiede cosa
gradisco. Ordino, tra il sudato e l’affaticato, una riserva per cui berrò caffè
per i prossimi due anni.
Quando esco, profumata e truccata come un mignottone (perché
per arrivare al punto vendita di george clooney devi passare per chanel,
narciso Rodriguez, Mac, Shiseido e yves saint laurent e chi più ne ha più ne
metta), con busta ingombrante, scopro che una macchina in seconda fila mi
blocca completamente.
Guardo se per caso ha lasciato un bigliettino sul cruscotto.
Non è così. Accenno ad una timida clacsonata. Nulla. Mi guardano male, i
passanti. Lo so, penso, da fastidio. Ma come esco?
Dopo dieci minuti in cui ho pensato di scrivere con la
chiave un “vai a cagare” sul cofano, mi metto in mezzo alla strada alla ricerca
di una macchina dei vigili.
Niente. Neanche l’ombra. Peccato, penso. Mi sarebbe
piaciuto, per una volta, fermarli io e chiedere loro di adempiere al loro
sporco dovere.
Dopo circa venti minuti, alla fine, mi arrendo. Con la vespa
salgo sul marciapiede. Quasi quasi rompo la coppa dell’olio o comunque qualcosa
lì sotto, tra le due ruote. Riesco nell’intento. Mi rode.
Mi faccio un pezzettino di marciapiede alla ricerca di un
varco per tornare in strada.
Proprio in quel momento passa una bella ragazza con la
filippina e il carrozzino, con un bel bebè.
Le sorrido. Che bel bambino, accenno timidamente.
Lei prima mi guarda come fossi un escremento di vacca. Poi
inizia ad insultarmi.
Eh certo, che bel bambino, so bravi tutti, eh? Sul
marciapiede e questo mi si intossica per colpa vostra che non ve ne frega
niente, eh? Meglio che te ne vai veloce, sennò chiamo i vigili. E poi, senza
guardarmi, mi dice “Sta stronza”.
Sento caldo in faccia. Ho voglia di scendere e darle una
testata.
Però la tipa ha ragione. Il problema è che abbiamo ragione
entrambe. Forse io meno di lei.
Comunque pensavo che la maternità addolcisse l’animo. Forse
mi sbagliavo.
Mi sa che mi ricompro la moka.